Capitolo 1 – E’ il ferro a chiamarmi

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    Non gli era mai capitato. Eppure, quel giorno, il suo scudo di quercia aveva deciso di frantumarsi. Un crack e il filo in liana intrecciata esplose, letteralmente, rilasciando una piccola nuvola di polvere. Tentò di guardarsi attorno ma nel territorio in cui era finito gli alberi erano ben distanziati gli uni dall’altri e ciò aveva permesso alle piante di crescere senza doversi rampicare per della luce.
    Le catene montuose che lo circondavano gli fecero tornare in mente i giorni della sua gioventù. Quasi venticinque anni fa un nano aveva fabbricato lo scudo che, in quel momento, si scomponeva sempre di più. Aveva ottenuto la sua simpatia salvandolo dalle nevi mobili. Quella piccola creatura sembrava abituata al liquido che i minuti chiamano ‘vino’. Ed effettivamente ne aveva bevuto parecchio proprio nei giorni in cui si era occupato di quel compito. Forse proprio per questo le strane viti che tenevano assieme gli assi di quercia decisero di frantumarsi al vento come denti di leoni.
    “Pazienza.” Pensò fra se e se, rimanendo a fissare per qualche minuto quel noioso spettacolo. Certo, per i giganti è facile non annoiarsi. Una loro generazione copre cinque generazioni umani. E quello che per l’uomo è un’eternità, al gigante sa di un attimo.
    Premendo sulle ginocchia con i possenti palmi si mise in piedi. Si sgrullò la polvere da dosso e rastrellò con le unghie nere le erbacce raccolte nel pelo dell’orso, divenuto il suo nuovo mantello.
    S’incamminò verso una valle da cui proveniva una strana nebbia, come del fumo. Piccoli insetti strisciavano via da lui, come il cerchio che s’allontana dalla roccia caduta in acqua. Dunque toccò alle foglie secche che caddero verso il basso, sbattendogli sul petto nudo.
    Povero d’agilità era ricco di centimetri. In tutti i sensi. Soprattutto nelle enormi falcate che, nel migliore dei casi, lo avrebbero portato nella città più grande della nazioni senza troppi problemi.
    Aveva bisogno di una armatura, ci aveva pensato parecchio. Gli At Lamach non erano soliti indossare armature. Senza aver mai preso parte ad una guerra dai tempi del grande semidio, questi giganti preferivano trasportare pesanti carcasse o i vecchi malati. E’ raro trovare animali in grado di sorreggere il peso di un gigante. Tanto più raro trovare il tempo e il materiale per forgiare oggetti del genere. E se anche lo avessero trovato, non avrebbero di certo trovato un motivo per indossarle.
    Ma ora la situazione era diversa e l’aria, tanto più rancida ad ogni suo passo, glielo ricordava. Un bravo arciere avrebbe potuto lanciare una freccia graffiandolo. Ma se l’arciere avesse avuto una balestra pesante avrebbe potuto fargli partire una gamba. E ciò avrebbe rallentato parecchio la sua ricerca. Di conseguenza, ora più che mai, era necessario procurarsi un equipaggiamento.
     
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    Enormi lance perforavano i cieli. Le loro lame, coperte da un fumo malsano, erano difficili da distinguere. Si trattava degli enormi edifici che caratterizzano Teylust, la città dei peccati.
    Shar Kan non lo sapeva, e non se lo chiese nemmeno. Ma quei palazzi erano così alti per dare la possibilità agli abitanti di avere un tetto sotto cui dormire. La conformazione del territorio aveva dato vincoli ben precisi all’urbanistica della città. Ma il sangue caldo dei regnanti di Teylust non se ne preoccupava. Anzi, seppero trarre vantaggio da questa situazione. Rendendo ‘pessima’ la qualità della vita si erano assicurati un esercito di manodopera disposta ad accettare bassi salari pur di sopravvivere. E con costi così bassi in produzione, ma costi ben più alti al momento di esportare, avevano forgiato un impero malefico ma funzionale.
    Shar Kan non sarebbe stato disposto ad un simile sacrificio. Ma la natura dei ‘minuti’ è ben diversa da quella dei ‘giganti’. Uno qualsiasi di questi avrebbe potuto facilmente accoppare un ‘grosso troll di montagna’. Ma un ‘grosso troll di montagna’ avrebbe potuto facilmente distruggere un villaggio di contadini. Dunque ai contadini sembrò giusto e doveroso sacrificare i propri compagni al ‘Dio tecnologia’ per creare luoghi del genere. Avamposti impossibili da governare senza il consenso dello stesso popolo. Dunque avamposti che nessuno avrebbe voluto invadere…
    Il malcontento si percepiva facilmente. Quei fumi erano così densi che a Shar Kan vennero in mente le paludi di terra e melma. E quella volta in cui, per sbaglio, vi cadde dentro. Ora, come allora, qualcosa sembrava trascinarlo a fondo. Ai tempi si trattava di uno strano polpo con otto occhi, ora, invece, gli occhi erano molti di più. Ma non si trattava di un polpo. Bensì della popolazione di quello strano paese. Orchi rognosi, umani ammalati e orfani di chissà quale evento. Doveva essere raro per loro vedere un gigante.
    Shar Kan aveva notato la presenza di diversi Hybrail. E di diverse Hybrail. Non senza soffermarsi a studiarne i lineamenti decisi quanto sensuali. Quando una di queste si accorse di lui, il gigante fece finta di niente e arrossendo continuò nel suo cammino. Felice dell’incontro che gli ricordò la maestosità di questa razza. Maestosità che si rispecchiava nel loro equipaggiamento. Maestosità che avrebbe fatto comodo alla ricerca di Shar Kan.
    Dunque lo vide. In un incavo fra due enormi ponti sopraelevati di metallo e magia nera, un largo portone spalancato alto quasi quanto lui. Scandendo un preciso ritmo dei vapori si alzavano in cielo, cercando di ricongiungersi alle nuvole. Scandivano il tempo, e anche la direzione.
    ‘Il bazar di Malthazar’ Lesse, cercando di decifrare l’orribile calligrafia. Avvicinò le nocchie al tetto dell’edificio per bussare ma non lo fece. D’altronde una scossa così potente avrebbe potuto preoccupare il proprietario. Dunque inclinò il capo, piegò le ginocchia ed entrò nell’edificio, continuò a camminare fin quando il soffitto si fece alto. E comodo. Solo allora poté permettersi di rilassare le gambe tenendo piegato solo il capo.
    Degli orchi all’interno mormorano qualcosa e un hybrail, con una pacca sulla schiena, li fece azzittire. Shar Kan non se ne curò, al contrario i suoi occhi rossi puntarono su un’enorme armatura, alta quasi due metri. Non era oggetto del suo interesse. O meglio, non era giunto fin lì per ‘quella armatura’. Ma c’era qualcosa che non gliela raccontava giusta. Così, quando l’armatura si voltò verso il gigante, questo indietreggiò d’istinto facendo tremare il Bazar. Un elmo cadde addosso ad uno degli orchi, questo imprecò e dunque Shar Kan capì. Doveva trattarsi di un Golem.
    << Cosa ci fa un gigante nel Bazar di Malthazar, aye ? >> Domandò il Golem con una voce profonda come la gola della morte delle terre selvagge. Shar Kan non si curò dei toni irrispettosi scambiandoli come un uso del luogo.
    << Ho visto da lontano che qua dentro si trovavano armature e armi. E non mi sbagliavo, aye >> Rispose il gigante studiando gli oggetti che lo circondavano. Prodotti di dubbia provenienza ma di sufficiente fattura. E questa fu’ la prima fortuna.
    La seconda, ben più di peso, fu che il Golem del misterioso mago aveva diversi oggetti di cui doversi sbarazzare. E nella sua ingenuità Shar Kan lo capì subito. L’unica armatura che riuscì a comporre per qualcuno della sua stazza era formata da pezzi eterogenei, sicché una spalliera era leggermente più grande dell’altra. E cose simili. Probabilmente difetti di fabbrica. O oggetti rubati a qualche gigante morto in combattimento. Ma a questo Shar Kan non pensò.
    <<aggiudicata.>> Sentenziò dopo essersi seduto per terra, arrivando a fissare dritto negli occhi quel povero orco a cui l’elmo aveva lasciato un bel occhio nero. << Uno scudo lo hai? >>
    E dunque il Golem iniziò a sfilare con diversi scudi da Hybrail. Ma nessuno sembrò soddisfarlo. Quelli grandi abbastanza costavano troppo e quelli piccoli erano … piccoli.
    <<e quello>> Aprendo il braccio per poco non schiacciò al muro il povero orco. Dunque indicò una specie di dardo gigante d’argento, sulla cui sommità era ancora pendente un tronco che, tempo immemore, aveva agito come corpo della freccia.
    << Quello? Fottuta immondizia >> Mormorò il Golem << Venne usato tempo or sono per abbattere un drago trasformato in vampiro … certo che ne hanno di tempo libero questi maghi. Pensi di poterlo sollevare ? >>
    Lo sguardo di Shar Kan fu abbastanza eloquente e dunque il Golem, aiutandosi con delle leve, trascinò lo scudo fino al gigante. Questo ne esaminò la fattura facendogli scivolare sopra la mano. L’argento era ancora lucido e probabilmente doveva essere stato maledetto. Oppure un ricordo di una qualche battaglia lontana. Se il padrone di quel negozio non l’aveva fatto riforgiare ci doveva essere stato un motivo. Al gigante non importava.
    << Montagli cinghie e prese, toglili quella carcassa di legno e acquisterò anche questo. >> Il gigante attese che il Golem si ingegnasse in questo lavoro e nel frattempo, per scusarsi con quegli orchi, decise di accettare il loro invito a giocare a braccio di ferro. Prima li sconfisse uno per uno, poi tutti assieme. Dunque scambiarono qualche battutina su delle orchesse e su delle hybrail. Shar Kan annuì fingendo di aver capito e terminato l’opera del Golem pagò il tutto per poi andarsene.

    CITAZIONE
    Nome: Armatura leggera di Acciaio
    Grado fabbro richiesto: I
    Scudo: 10 + 20
    Forza richiesta : // + 100
    Costo: 6 + 1 Monete d'oro

    CITAZIONE
    Nome: Scudo Aquilone di Argento
    Grado fabbro richiesto: II
    Scudo: +12 +15 (+30 contro creature vulnerabili all'argento)
    Taglio: +15 (+30 contro creature vulnerabili all'argento)
    Forza richiesta : 200 + 50
    Malus Agilità : 10%
    Costo: 2 + 2 Monete d'Oro

    Scena conclusa
     
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